Disturbi del comportamento alimentare
Alimentarsi è uno dei bisogni primari di ogni essere umano, oltre al sesso, al sonno e al respiro.
Può divenire un problema psicologico quando suscita preoccupazioni e ansia per il tuo peso, la forma e l’estetica del tuo corpo, procurando perdita di autostima, senso di colpa, disgusto per te stesso. La paura di perdere il controllo, l’evitamento di momenti piacevoli, come la socialità, sono spesso un naturale effetto del disturbo del comportamento alimentare.
Comuni sono le emozioni di solitudine, vuoto, fallimento, rifiuto in chi vive un disturbo alimentare. Sono molto frequenti perché spesso conseguono a episodi accaduti nella propria storia in cui ti sei sentito disconfermato / giudicato negativamente. Sono sensazioni che le si generalizzano a tutta la propria persona, e così facendo sviluppi un vissuto di “non sono accetto così come sono” facendoti esperire al contempo la perdita di punti di riferimento fino a quel momenti dati per assodato.
La pandemia con le sue restrizioni e con l’inevitabile isolamento sociale, ha peggiorato e reso ancor più visibile una sofferenza già presente nelle società post-moderne.
Perciò, è comprensibile che chi è sensibile a certi tipi di emozioni, abbia il disperato bisogno di trovare una via di fuga per non sentirsi più in quel modo.
Il cibo diventa quindi la propria valvola di sfogo, la stampella di cui si ha bisogno nel mare in tempesta delle nostre emozioni.
Se è ciò che stai vivendo è il momento di fare qualcosa.
Come posso aiutarti a superare il tuo disturbo alimentare?
Ecco l’esempio di Martina (nome piuttosto diffuso, infatti non è quello reale del paziente):
Martina mi contatta perché da molti anni soffre di un disturbo alimentare, fatto di abbuffate e conseguenti restrizioni, con tentativi (rari) di indursi il vomito.
Facendo luce sul suo contesto vita, emerge quanto Martina si sentisse sola, poco compresa da “tutti”, compresi i suoi genitori, e che fin dal primo colloquio mi dice di sentirsi come “divisa a metà”, chiedendomi aiuto sul rispondere alla domanda “Chi è e cosa vuole”.
Dal diario che ho concordato con lei di fare fin dai primi incontri, emerge che quando è sola a casa e si trova a dover studiare, inizia ad avvertire sensazioni di solitudine, tristezza, ansia nel non riuscire a fare tutto ciò che dovrebbe. Mi racconta che per non pensarci e porre rimedio a una situazione emotiva fastidiosa, mangiucchia tutto il giorno stando sui social network oppure nei momenti peggiori si abbuffa con ciò che trova in cucina.
Con l’analisi del contesto spicca dalla storia di Martina quanto lei non si fosse “mai sentita abbastanza” per la famiglia, la quale a diversi fasi della crescita le commentavano l’aspetto fisico dicendole “potresti essere più bella se fossi più magra”. Un messaggio che Martina ha fatto suo con il significato “io non vado bene così”, portandola al bisogno di aderire ai canoni che la famiglia le trasmettevano per essere accettata. Così sviluppa la preoccupazione per il proprio corpo e l’alimentazione.
Grazie al diario e al mio intervento di analisi delle situazioni, emerge come Martina senta di dover aderire a certi standard di prestazione e alle aspettative che gli altri (la sua famiglia soprattutto) hanno su di sé, non permettendosi di essere se stessa, per non andare incontro ad un giudizio o una disconferma che generalizzerebbe alla sua intera persona. Così facendo vive in costante pressione da portarla a usare il cibo per “staccare la spina”, sentendosi poi dopo in colpa e schifata di se stessa.
Infatti, come spesso accade in chi vive un disturbo alimentare, la sensazione di disgusto per se stesso può facilmente condurre i giorni successivi a stare molto più attenti a ciò che si mangia a volte restringendo l’importo calorico giornaliero, per riappropriarsi di un senso di capacità e di valore di sé.
La prima cosa che ho fatto è aiutare Martina a comprendere i motivi, le sensazioni e i significati che scatenano il suo comportamento alimentare, dopodiché ho cercato di incoraggiarla a rispondere alla domanda “come si comporterebbe e cosa desidererebbe se non dovesse aderire a certi standard?”, con l’obiettivo di farla riappropriare / riconoscere i suoi desideri e i suoi modi di essere che più appartengono al suo senso di identità personale, e non ciò che gli altri vorrebbero che lei fosse. Non solo, tra i vari compiti esperienziali, è stato opportuno per lei iniziare a sperimentarsi più in linea con ciò che lei avrebbe voluto dire o fare, perché così facendo ha potuto percepirsi più libera di scegliere come muoversi nel contesto circostante, e al contempo accettando che come è, le conferisce un valore e un senso di autenticità che le permette di non sentirsi più divisa a metà.
Con la fine del percorso psico alimentare, Martina è arrivata a definirsi, accettandosi, come persona dotata di obiettivi, qualità proprie, progetti suoi in cui realmente può ottenere un senso di gratificazione e di valore di sé.
Se anche tu stai vivendo una sofferenza simile, non esitare a contattarmi per ricevere informazioni oppure se lo desideri puoi trovare approfondimenti sul tipo di intervento in Percorso psico-alimentare.
[Tutti i brani pubblicati sono ispirati a colloqui reali, ma ogni riferimento a luoghi, situazioni e persone è stato rimosso o modificato. Inoltre gli interventi contenuti nei dialoghi si riferiscono esclusivamente a situazioni specifiche omesse per questioni di privacy e pertanto non possono in alcun modo sostituire né integrare una diagnosi psicologica, né un colloquio con uno psicologo.]